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Natura del rapporto di lavoro tra medici convenzionati e ASL e rispetto della contrattazione collettiva anche per la Regione in disavanzo

La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza depositata il 14/02/2023, n. 4524, ha deciso sul caso di un medico di medicina generale (medico di base) operante in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, in relazione al diritto al pagamento della misura intera dei corrispettivi previsti dall'Accordo integrativo regionale per la medicina generale per le voci ‘assistenza domiciliare integrata’ e compensi denominati ‘NCP in gruppo’, il cui importo unitario mensile per assistito, era stato ridotto unilateralmente dall'ASL a fronte di prestazioni rimaste invariate.

La Corte di legittimità, ricostruito il quadro normativo di settore – sul rapporto convenzionale con il SSN e sui vincoli alla spesa regionale per contenere i disavanzi e assicurare l'equilibrio unitario della finanza pubblica – ha premesso che, secondo la giurisprudenza costante di legittimità, «i rapporti tra i medici convenzionati e le aziende sanitarie locali, pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale in funzione della tutela della salute pubblica, hanno la natura di rapporti libero professionali parasubordinati, che si differenziano da quelli di pubblico impiego per il difetto del vincolo della subordinazione. L'ente pubblico opera, pertanto, nell'ambito esclusivo del diritto privato ed assume nei confronti del professionista gli obblighi che derivano dalla disciplina collettiva, alla quale la legge assegna un ruolo centrale, affidandole la funzione specifica di garantire, su base pattizia, "l'uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale... sull'intero territorio nazionale"». Neppure vi incide la normativa speciale per il rientro dai disavanzi del sistema sanitario. Non sussiste, dunque, alcun potere per la Regione (seppure in disavanzo) di sottrazione unilaterale al rispetto delle obbligazioni contrattuali assunte, quanto al trattamento economico spettante al personale del comparto sanità e a quello in regime convenzionale, sulla base delle previsioni contenute nei contratti e negli accordi collettivi nazionali e integrativi. Resta, quindi, escluso il potere unilaterale di rideterminazione del trattamento retributivo.

In conclusione, rigettando il ricorso perché infondato, la Corte di legittimità ha enunciato i seguenti principi di diritto:

«a) Il rapporto convenzionale con il Servizio Sanitario Nazionale dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali e integrativi ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali.

b) La disciplina dettata dalla L. n. 833 del 1978, art. 48 e dal D.Lgs. n. 502-1992, art. 8 non è derogata da quella speciale prevista per il rientro da eccessivi disavanzi del sistema sanitario e pertanto le esigenze di riduzione della spesa non legittimano la singola azienda sanitaria a ridurre unilateralmente i compensi previsti dalla contrattazione integrativa regionale.

c) Le esigenze di riduzione della spesa, sopravvenute alla valutazione di compatibilità finanziaria dei costi della contrattazione, devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione, pertanto l'eventuale atto unilaterale di riduzione del compenso, adottato dalla P.A., non ha natura autoritativa perché il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l'esercizio dell'autonomia privata».

 

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